Molte delle persone che si rivolgono ad uno psicologo si presentano con una richiesta ben precisa: “Dottore, non voglio più sentirmi ansioso, avere questa sensazione di ansia che mi prende, non voglio avere ansia. Mi aiuti ad eliminare definitivamente l'ansia dalla mia vita”. In realtà, sappiamo bene che questo è un obiettivo irrealistico.
L’ansia è un’emozione NORMALE. Tutti noi la proviamo, in alcuni momenti della nostra vita. Quando dobbiamo affrontare un esame o un colloquio di lavoro, per esempio, sentiamo ansia. Quando organizziamo un incontro a cena con la persona che ci piace, nell’attesa proveremo ansia.
L’ansia ci mette in guardia dal pericolo (di farci male, di fare una figuraccia, di fallire), è perciò molto utile!
A differenza della paura, l’ansia si manifesta in assenza di un pericolo nell’immediato. Riguarda infatti l’anticipazione di un evento rischioso, per cui è un’emozione che ci aiuta a prepararci ad affrontare una situazione immaginata, considerata complicata o pericolosa.
Il problema nasce, però, quando l’ansia diventa eccessiva, irrazionale, pervasiva.
Possiamo paragonare l’ansia all’antifurto della nostra automobile. Vorreste che non funzionasse più? Certo che no. L’allarme deve avvisarci qualora un ladro tenti di rompere un finestrino o vi siano altre situazioni di rischio. Se però un giorno l’antifurto si rompesse ed iniziasse a suonare continuamente, per tutto il giorno, senza motivo, a quel punto credo che chiamereste un meccanico per risolvere il problema. Con l’ansia succede la stessa cosa: deve “funzionare”, ma solo quando è necessario.
E allora cosa può fare uno psicologo? Può insegnare a GESTIRE l’ansia, e di conseguenza fare in modo che non si presenti più così frequentemente e/o intensamente. I parametri che il terapeuta osserva per valutare il miglioramento dell’ansia sono principalmente 3: frequenza (provo ansia ogni giorno vs provo ansia ogni tanto), durata (questa ansia si trascina per ore/giorni vs per qualche minuto), intensità (su una scala da 0 a 100 la mia ansia è molto bassa vs molto elevata).
Quando l’ansia è eccessiva, irrazionale e incide notevolmente sulla nostra vita di tutti i giorni, si parla di DISTURBO D’ANSIA.
Molte persone si chiedono “perché proprio a me?”, “significa che non sono normale?”. E’ importante perciò normalizzare l’ansia, poiché anche quando si manifesta sotto forma di “disturbo” riguarda comunque un’esperienza frequente e comune. Non esiste una causa univoca nell’insorgenza di queste problematiche, si parla infatti di eziologia multifattoriale. Si considerano cioè la predisposizione genetica (se i miei genitori o i miei parenti stretti soffrono o hanno sofferto di un disturbo d’ansia io avrò una maggiore probabilità di svilupparne uno), i modelli familiari, gli eventi stressanti, le caratteristiche psicologiche della persona. Esistono quindi fattori predisponenti (es. la familiarità con un disturbo d’ansia), che però, affinchè insorga un vero e proprio disturbo, devono incontrare dei fattori precipitanti (es. un evento stressante nel corso della vita) e dei fattori di mantenimento (che tengono in vita il problema).
L’ansia si manifesta attraverso 3 canali:
Fisiologico (sintomi fisici, manifestazioni corporee)
Cognitivo (i nostri pensieri)
Comportamentale (le azioni, ciò che facciamo)
Da un punto di vista fisiologico, le espressioni dell’ansia spaziano da quelle più comuni ad altre più bizzarre e inusuali.
Si possono presentare sintomi a carico del sistema gastrointestinale (gastrite, reflusso esofageo, colite, ecc.), del sistema cardiovascolare (tachicardia, aritmie, extrasistole, ecc.), del sistema neuromuscolare (vertigini, tremori, rigidità, tensione muscolare, ecc.), sintomi dermatologici (es. orticaria, rossore, ecc.), respiratori (es. sensazione di mancanza d’aria, nodo in gola, ecc.), urinari (es. impulso continuo ad urinare, ecc.)
Chiaramente l’ansia, riflettendosi sul corpo, mantiene ed aggrava ogni sindrome dolorosa. Per questo è importante lavorare per la riduzione dei livelli di ansia.
L’ansia, tuttavia, non si esprime esclusivamente attraverso il corpo. Un ruolo fondamentale nell’insorgenza, nel mantenimento e nell’esacerbazione dell’ansia è giocato dai nostri pensieri.
Immaginate, per esempio, di dover partecipare ad un concerto affollato. La situazione può essere, per molti di voi, fonte di gioia ed entusiasmo. Per alcune persone, però, la situazione “concerto” causa emozioni sgradevoli, per esempio una forte ansia. Come mai? Se di fronte alla situazione “acquisto del biglietto per il concerto” la mia mente sarà attraversata da pensieri del tipo “finalmente vedrò il mio cantante preferito”, “che emozione ascoltare quella canzone dal vivo”, “passerò una bella giornata con i miei amici”, verosimilmente esperirò emozioni piacevoli.
Ma se nella mia mente scorreranno pensieri come “oddio, potrei sentirmi male là in mezzo a tutta quella gente”, “e chi mi aiuterà se sverrò?” “avrei fatto meglio a non comprare i biglietti”, l’emozione che mi assalirà sarà principalmente l’ansia.
Le nostre emozioni, infatti, non derivano direttamente dalla situazione che viviamo, ma sono mediate dai nostri pensieri.
Per esempio, se salissi su un aereo agitata e con il pensiero “mi sentirò male”, nel momento in cui iniziassi ad avvertire un’accelerazione dei miei battiti cardiaci (sono in ansia, per forza il mio cuore aumenterà il battito, lui fa il suo lavoro!), potrei interpretare tale accelerazione come la prova del fatto che davvero io mi stia sentendo male. Si innescherà cioè un circolo vizioso di questo tipo: mi agito perché temo di sentirmi male, l’ansia (come è normale che sia!) accelera il mio battito cardiaco, io ascolto l’aumento del battito e lo interpreto come prova che ciò che temo è reale, cioè che mi sto davvero sentendo male; questo pensiero certamente non potrà tranquillizzarmi, anzi! Mi agiterò di più e il mio cuore batterà più velocemente, innescando un processo in cui ansia e sintomi fisici si rafforzeranno a vicenda.
Per capire quanto i nostri pensieri determinino le nostre emozioni e i nostri comportamenti, vediamo un altro esempio. Se prima di un colloquio di lavoro penserò “farò una figuraccia” oppure “non mi assumeranno mai”, la mia ansia non potrà che aumentare, influenzando la prestazione secondo quella che si chiama “profezia che si auto-avvera”. Porrò attenzione solamente ai miei sbagli, mi demoralizzerò facilmente al primo errore, eviterò di riprovarci, e alla fine probabilmente farò in modo che si verifichi davvero ciò che temo. Non c’è nulla di magico in questo processo, vi è solo la presenza di quella che si chiama “attenzione selettiva”, che si rifletterà negativamente sulla prestazione. Se modificassi il mio pensiero, trasformandolo in “è una prova difficile, non sarà facile superare il colloquio, ma sono preparato, cercherò di fare del mio meglio”, probabilmente le mie emozioni e, soprattutto, il mio comportamento, sarebbero diversi, perché sarei in grado di porre attenzione anche a segnali di piccoli successi, che mi darebbero la forza di andare avanti con grinta nel colloquio, o comunque potrei affrontare gli errori con uno spirito più costruttivo.
Oltre a sentire l’ansia sul corpo e dentro la mente sotto forma di pensieri catastrofici, essa è presente nella nostra quotidianità anche sotto forma di azioni che svolgiamo (o, più spesso, che NON svolgiamo!).
Una delle armi utilizzate dall’ansia per renderci suoi schiavi è l’EVITAMENTO.
Facciamo un esempio. Se l’idea di salire su un aereo mi getta nel panico, probabilmente, dopo una complicata lotta interna in cui mi chiederò se sia meglio comprare il biglietto oppure no, alla fine opterò per l’evitamento: non comprerò il biglietto. Nell’immediato mi sentirò decisamente meglio, davvero sollevato! Mi dirò che è stata la scelta giusta, e l’ansia svanirà. Ma. C’è un “ma” bello grosso. L’ansia se ne andrà solo per qualche giorno. Dopo di che, alla prima occasione in cui mi si ripresenterà una situazione simile, l’ansia busserà nuovamente alla mia porta, e lo farà con più forza di prima.
Perché succede questo? Perché evitando una situazione che ci fa paura, non metteremo mai in discussione i nostri pensieri catastrofici a riguardo, che si rafforzeranno. Mi spiego meglio.
Immaginiamo di dover percorrere un tratto di autostrada da soli, e supponiamo che questo ci crei ansia.
Appena saliti in auto, inizieremo a tremare, sudare, ci mancherà il fiato e il cuore accelererà i suoi battiti. Il pensiero sarà “e se dovessi svenire mentre guido?”, “se mi sentissi male non potrei accostare”, “potrei andare fuori strada”. A questo punto, entra in gioco l’evitamento. Scendo dall’auto, chiamo la mia amica che mi aspettava a Bologna per un convegno e inventando una scusa, le dico che non potrò raggiungerla. L’ansia istantaneamente diminuirà.
Se la nostra amica però ci inviterà ad una mostra il mese successivo, molto probabilmente, non riusciremo a raggiungerla. Cosa è successo? Durante l’episodio dell’evitamento (quando scendo dalla macchina, per intenderci), mi precludo di falsificare i miei pensieri catastrofici. Penserò, cioè, che le tragedie immaginate non si sono verificate SOLAMENTE PERCHE’ non ho imboccato l’autostrada. Ma se l’avessi fatto? Affrontando la situazione temuta, invece, mi renderò conto che, non solo ciò che temo molto probabilmente non si verificherà (o lo farà con intensità minore e conseguenze molto meno dannose), ma soprattutto che l’ansia, ad un certo punto, FINIRA’, perché L’ANSIA FINISCE SEMPRE.
Molte persone non sanno che l’ansia ha un andamento “a campana”. Inizia, si intensifica, raggiunge un picco e poi (e questa è la buona notizia) finisce! In genere questo processo dura qualche minuto, in alcuni casi mezz’ora o poco più. Ma l’ansia finisce sempre. L’importante è lasciarsi attraversare dalla sua “onda”. Se la evitiamo, si ripresenterà sempre più forte.
A causa dell’ansia, inoltre, NON SI PUO’ SVENIRE, MORIRE, IMPAZZIRE. Non esistono casi in letteratura di persone morte o impazzite a causa dell’ansia. Lo svenimento, inoltre, è incompatibile con l’ansia. Per svenire infatti deve esserci un calo di pressione, mentre quando siamo in ansia la nostra pressione sanguigna aumenta, così come la tensione muscolare, in quella che si chiama “reazione di attacco-fuga” (l’insieme delle modificazioni fisiologiche che il nostro organismo mette in atto per prepararci ad affrontare un pericolo reale o percepito).
Ma come si può guarire da un disturbo d’ansia? Esistono farmaci che possono aiutare a gestire l’ansia con efficacia, ma una volta che ne venga sospesa l’assunzione, in genere le difficoltà di ripresentano.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è il trattamento d’elezione per questa categoria di problematiche. Vediamo di cosa si tratta. Come abbiamo detto in precedenza, l’ansia si manifesta attraverso 3 modalità: sul corpo, nei pensieri, nelle azioni. La terapia mirerà ad apportare modifiche in queste 3 aree, dotando le persone di utili strumenti per affrontare i diversi problemi.
A livello fisiologico, si imparerà una tecnica di respirazione diaframmatica lenta o di rilassamento muscolare progressivo. La prima può aiutare a contrastare l’iperventilazione, spesso causa dei fastidiosi sintomi fisici. Quando siamo in ansia, infatti, respiriamo più velocemente o più profondamente, senza sapere che in questo modo non facciamo altro che aumentare la tachicardia, la “fame d’aria” e gli altri sintomi dell’ansia. Dobbiamo invece RALLENTARE il ritmo della nostra respirazione, se vogliamo che il nostro organismo ripristini uno stato di tranquillità. Il rilassamento muscolare progressivo, utile soprattutto quando vi è uno stato di tensione costante, consiste in una serie di esercizi che alternano contrazione e successivo rilascio di alcuni gruppi muscolari. Esso parte dal presupposto che non vi possa essere una mente ansiosa in un corpo rilassato, per cui rilassando la nostra muscolatura, riusciremo a raggiungere più facilmente anche uno stato di maggiore calma. Questo tipo di rilassamento può aiutare a contrastare anche alcune sintomatologie dolorose legate a tensione e rigidità muscolare, come lombalgie, cefalee, ecc.
Per quel che riguarda il lavoro sui pensieri, la terapia aiuterà ad individuare, prima, e a ristrutturare, successivamente, alcuni nostri pensieri che ci causano ansia. Un grande errore che facciamo un po’ tutti è infatti quello di fidarci ciecamente dei nostri pensieri. Se penso “andrà male” la mia mente ci crederà. Proviamo però a distaccarci dai nostri pensieri, e a cercare di analizzare se davvero meritano la nostra fiducia. Per esempio, chiediamoci quali sono le prove che sostengono il mio pensiero e quelle che invece lo contraddicono. E se anche succedesse ciò che temiamo sarebbe così terribile? Chiediamoci anche “quanto mi è utile ora pensare a questo?”. Tutti noi utilizziamo alcune “distorsioni” di pensiero, degli errori di ragionamento, come per esempio la catastrofizzazione (tipica dell’ansia, es. “mi sentirò male, non ci sarà nessuno, morirò”), la generalizzazione (es.“siccome sono stata bocciata ad un esame significa che verrò sempre bocciata”), il pensiero bianco/nero (es. “o sono una brava persona o sono un disgraziato”, non ci sono vie di mezzo).
Il terapeuta aiuterà la persona ad individuare i propri errori di ragionamento e a trovare pensieri alternativi più funzionali. Attenzione, non si tratta di individuare pensieri positivi e ingenui, semplicemente possiamo ridimensionare alcune convinzioni rigide e catastrofiche.
A volte le nostre preoccupazioni possono essere realistiche o verosimili. E’ vero, potrei essere licenziata, qualche persona amata potrebbe ammalarsi, potrebbe cadere un meteorite sulla terra, ma in questo preciso momento ciò non sta succedendo. Nel momento in cui ci travolgono, queste preoccupazioni appartengono comunque al mondo del possibile, non del reale. In questo momento non mi sto sentendo male, non è successo un disastro, ecc. Certo, l’ansia può aiutarci a prevenire e ad affrontare alcune situazioni, ma occorre distinguere tra rimuginio sterile e problem solving orientato alla ricerca di una soluzione al problema, laddove possibile.
Cosa occorre fare per diminuire la nostra ansia?
Dobbiamo principalmente agire sull’evitamento e sugli altri cosiddetti “comportamenti protettivi” (tutti quei comportamenti che mettiamo in atto per sentirci al sicuro, e che nella realtà non fanno altro che aumentare la nostra ansia e diminuire il nostro senso di autoefficacia e la nostra autostima).
L’arma che abbiamo per combattere l’evitamento è l’ESPOSIZIONE. In psicoterapia, per esempio, si invita la persona a creare una gerarchia delle situazioni temute ed evitate (da quelle meno ansiogene a quelle più terrificanti) e la si aiuta ad affrontarle, un passo alla volta. Per esempio, se si evita di recarsi al supermercato per il timore di avere un attacco di panico, si potrà cominciare recandosi di fronte all’ingresso del negozio, per poi entrare in un orario in cui il supermercato non è affollato, e arrivare infine a fare la spesa in un orario di punta, dedicandole tutto il tempo necessario.
Altri comportamenti protettivi sono, per esempio, le richieste di rassicurazioni. Spesso tendiamo a cercare sostegno nei familiari o nelle figure di riferimento, chiedendo loro ripetutamente “è normale?”, “dici che non succederà niente?”, “ce la faremo ad arrivare a fine mese?”, “non è pericoloso vero?”. Chiedere rassicurazioni è un’arma a doppio taglio, perché se da una parte ci tranquillizza (solo momentaneamente!), dall’altra aumenta la nostra insicurezza, il nostro bisogno di ulteriori rassicurazioni, la nostra ansia (basterà una parola in più o in meno per farci salire il panico).
I metapensieri (le riflessioni che facciamo sui nostri stessi pensieri) sono un altro tasto da toccare per uscire da un disturbo d’ansia. Se nel momento in cui mi preoccupo di qualche catastrofe, la mia mente mi suggerisce “fai bene a preoccuparti, così non ti farai trovare impreparato se succederà”, certamente sarà necessario mettere in discussione questo pensiero se vogliamo diminuire il nostro rimuginio. Il rimuginio infatti si rivela il più delle volte non solo inefficace (meglio sostituirlo con un buon problem-solving!) ma anche dannoso.
Aiutare la persona a stare nel presente è un altro obiettivo della psicoterapia per le problematiche legate all’ansia. L’ansia si manifesta quasi sempre con un pensiero del tipo “e se…?”, quindi orientato al futuro. La mindfulness può risultare molto efficace in questo. Quando parliamo di mindfulness intendiamo la consapevolezza che nasce dal prestare attenzione intenzionalmente al presente, momento dopo momento, in modo non giudicante. Può essere appresa solo attraverso l’esperienza. Esistono corsi ed esercizi che possono essere svolti per raggiungere questo nuovo “atteggiamento mentale”. Per approfondimenti, rimando a siti specialistici su questo tema.
Non sottovalutiamo, infine, il potere ansiolitico e antidepressivo dell’attività fisica. E’ ormai dimostrato che dedicare 30-45 minuti al giorno all’attività fisica (anche una semplice camminata in mezzo alla natura) produce effetti sorprendenti sul nostro umore e sui livelli di ansia.
BIBLIOGRAFIA:
American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5; Milano: Raffaello Cortina Editore.
Andrews G., Creamer M., Crino R., Hunt C., Lampe L., Page A. (2003). Trattamento dei disturbi d’ansia. Guide per il clinico e manuali per chi soffre del disturbo. Centro Scientifico Ed.
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