La parola “assertività” deriva dal latino ad serere, e significa «asserire» o anche affermare se stessi. L’ assertività è la capacità di esprimere i propri sentimenti, di scegliere come comportarsi in un determinato momento/contesto, di difendere i propri diritti, di esprimere serenamente un’opinione di disaccordo quando lo si ritiene opportuno, di portare avanti le proprie idee e convinzioni, rispettando, contemporaneamente, quelle degli altri.
La comunicazione assertiva costituisce un metodo di interazione che si attua attraverso un comportamento partecipe attivo e non in contrapposizione con l’altro; un atteggiamento responsabile, caratterizzato da piena fiducia in sé e negli altri; un comportamento completo che manifesta pienamente il proprio sé, funzionale all’affermazione dei propri diritti senza negare i diritti e l’identità dell’altro; un atteggiamento che non giudica e avulso da critiche non costruttive verso l’altro ovvero senza pregiudizi; la capacità di comunicare i propri sentimenti in maniera chiara e diretta e onesta senza manifestare aggressività o essere minacciosi verso l’altro.
I capisaldi del comportamento assertivo sono impliciti nei diritti di ciascun essere umano che vengono di seguito riportati:
Essere trattato con rispetto, poiché ognuno ha il diritto di gestire la propria vita come desidera e di perseguire i propri scopi ed obiettivi, senza però danneggiare gli altri. Inoltre ognuno ha il diritto di essere trattato dagli altri con gentilezza e cortesia, a prescindere dalla propria posizione sociale; il rispetto e la dignità sono i prerequisiti di una società civile.
Esprimere le proprie opinioni ed i propri sentimenti, dato che ciascuno di noi ha il diritto di esprimere se stesso; il proprio punto di vista circa una situazione e i sentimenti che ne scaturiscono sono validi tanto quanto quelli degli altri. Se si nascondono le proprie opinioni ed i propri sentimenti, gli altri non avranno la possibilità di conoscerci o di capirci. In tal modo ci verrà negato il valore e la bellezza dell’amicizia vera.
Fissare i propri scopi ed i propri obiettivi, dal momento che tutti hanno il diritto di perseguire i propri scopi. Ciascuno ha il diritto di perseguire le priorità che ritiene essere più consone a se stesso, altrimenti si può avere la percezione di vivere la vita di altri.
Rifiutare una richiesta o dire di no, poiché ognuno ha il diritto di rifiutare.
Chiedere ciò che si desidera, dal momento che ognuno ha il diritto di esprimere i propri bisogni. Ciascuno ha delle necessità e desideri ed è utile esprimerli nelle relazioni.
Commettere degli errori; sbagli ed errori sono elementi essenziali dell’apprendimento.
Essere i giudici del proprio comportamento, indipendentemente dalla benevolenza degli altri, infatti ognuno ha il diritto di giudicare se stesso. Si può giudicare il proprio comportamento, senza avere bisogno dell’approvazione o delle critiche altrui.
Cambiare la propria opinione, dato che il cambiamento può essere associabile alla crescita ed allo sviluppo personale.
Decidere se far valere o meno i propri diritti, in conformità al diritto di scelta.
Decidere se dare spiegazioni e scuse per il tuo comportamento.
In ogni situazione le persone coinvolte hanno diritti particolari e correlati al contesto e alla cultura di appartenenza. Esistono, però, dei principi qualificabili come diritti inviolabili della persona che proprio in quanto tali, sono comuni a tutte le situazioni di relazione e non possono essere dimenticati.
I vantaggi a breve termine, che permettono il mantenimento del comportamento assertivo possono essere riconducibili alla soddisfazione della necessità umana di esprimere i propri bisogni, desideri e pensieri e di avere un ruolo costruttivo nella relazione sociale. La disponibilità nel gestire in modo produttivo le eventuali divergenze costituirà un vantaggio condiviso per il soggetto e per il suo interlocutore, a breve ed a lungo termine.
L’ assertività può esprimersi a livello comportamentale lungo un continuum che va dalla “passività” all’ “aggressività”, i comportamenti che si situano agli estremi del continuum risultano disfunzionali e non in grado di esprimere un comportamento propriamente assertivo, per questo vengono definiti stili anassertivi.
L’ assertività si esprime nell’area intermedia del continuum e corrisponde a un comportamento sociale funzionale ed efficace (Anchisi, Gambotto Dessy, 1989; Campanelli, 1995).
Quando mancano la fiducia in sé e nell’altro e il rispetto verso se stessi e gli altri, è molto più probabile che le persone reagiscano ad una particolare situazione con modalità non-assertive.
Il livello di autostima infatti, sembra essere direttamente proporzionale al livello di assertività che si riesce a mettere in gioco nei confronti degli attori sociali con i quali ci si relaziona. Essere capaci di dar valore ai propri bisogni ed esprimerli in maniera adeguata senza lasciarsi invadere dalle necessità e dalle opinioni dell’altro o senza il bisogno di imporli a tutti i costi, ci permette di percepirci come persone consapevoli e integre, piene di valore e centratura.
Inoltre mettere in atto un comportamento assertivo stimola l’ assertività dell’interlocutore e promuove un feedback relazionale positivo, nutriente per la propria autostima ed utile a migliorare la percezione dell’immagine di sé.
Gli stili di comportamento possono quindi essere definiti aggressivi, passivi o assertivi:
Gli aggressivi
chi si situa all’estremo aggressivo del continuum si mostra concentrato sui propri desideri, ha la tendenza a dominare gli altri e l’unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Il suo stile espressivo è inequivocabile: tono autoritario, ritmi rapidi, tendenza a sovrapporsi all’interlocutore, accuse, domande calzanti.
I passivi
Chi invece si situa all’estremo passivo del continuum asseconda gli altri per evitare il conflitto e subisce spesso le situazioni senza opporsi. In questo caso lo stile espressivo è ricco di affermazioni vaghe ed incompiute e frequenti sono i richiami ai propri doveri e le espressioni di giustificazione e di autocommiserazione.
Sembra che entrambi gli atteggiamenti, aggressivo e passivo, abbiano un elemento in comune: la paura che il proprio pensiero o bisogno non venga riconosciuto e accolto, che la propria persona non venga accettata e valorizzata. I comportamenti che si mettono in atto sono diversi, ma entrambi compensatori: la persona aggressiva si mostra ostinata e giudicante, mentre la persona passiva appare compiacente e dipendente dal giudizio altrui.
Sebbene le persone non siano mai sempre e solo aggressive, passive o assertive, ciascuno di noi protende verso un determinato stile relazionale o tende ad adottarlo in particolari circostanze esterne o interne.
La stessa persona può essere, infatti, remissiva e passiva con i propri genitori, ma allo stesso tempo aggressiva con il partner o con i propri figli. Gli stili comunicativi, pertanto, si riferiscono a comportamenti e non a strutture di personalità e come tali possono essere appresi e modificati.
L'assertività è una capacità che può essere migliorata, un modo per farlo è sicuramente la psicoterapia cognitivo comportamentale, che ha evoluto uno specifico allenamento per questa capacità denominato Training Assertivo.
Robert E. Alberti e Michael L. Emmons (1974) idearono il primo training assertivo rivolto all’attivazione di potenziale e non al trattamento clinico di disturbi psichiatrici. Essi enfatizzarono l’importanza dei diritti di ciascun essere umano, a prescindere dal suo status sociale. Secondo gli autori, ognuno ha il diritto di essere padrone della propria vita e di agire secondo il suo personale interesse e secondo le sue credenze, nonché di esprimere liberamente il suo punto di vista e i suoi sentimenti. Il principale obiettivo del training creato da Alberti ed Emmons era quello di aiutare le persone ad agire sulla base dei propri irrevocabili diritti personali. Lo sviluppo dell’autostima e di uno stile comportamentale assertivo non erano considerati, dunque, solo desiderabili, ma anche necessari per tutti i soggetti.
Nel 1981 Arnold P. Goldstein sviluppò una serie di esercizi volti ad acquisire certe competenze sociali. Questi esercizi erano rivolti a soggetti con difficoltà di apprendimento che venivano erroneamente ricondotte a deficit intellettivi, invece che a difficoltà relazionali. Tra gli esercizi ideati vi erano: osservare l’interlocutore, esprimere disaccordo, fare richieste, rispondere alle critiche, relazionarsi con persone insistenti, parlare in pubblico, etc.
Il training di assertività nasce innanzitutto come metodologia per trattare i sintomi di ansia sociale. Molte persone con difficoltà interpersonali attribuiscono i loro problemi a fattori interni di tratto (“sono timido”, “sono ansioso”), piuttosto che ad elementi di apprendimento e di interazione con l’ambiente. Chi ha questo tipo di difficoltà non ha sviluppato un variegato repertorio di azioni sociali adattive, imparando ad evitare le situazioni temute, sviluppando così “poca dimestichezza” in molte situazioni sociali ed un repertorio piuttosto tipico di convincimenti che favoriscono le inibizioni e l’espressione dell’ansia.
Il training di assertività è concepito soprattutto come trattamento di gruppo (anche se può essere applicato, con alcune varianti, individualmente). È costituito normalmente da 10-15 sedute di circa due ore ciascuna e comprende una parte teorica e molte parti pratiche.
Nella prima vengono illustrati i principi generali dell’ assertività, gli aspetti che normalmente favoriscono il comportamento non-assertivo (anassertivo), il modo per identificare correttamente le critiche improprie, le diverse tipologie di comunicazione di tipo verbale e non verbale, ecc.
Nelle seconde vengono svolte esercitazioni pratiche, role-playing (giochi di ruolo), esercizi di esposizione, per aiutare la persona ad applicare praticamente quanto appreso, ad esporsi e a vincere talune inibizioni.
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